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ARTIGIANALITÀ, GIOVANI E FUTURO: INTERVISTA ALLO CHEF ANDREA BONATI

20 Lug 2021

ARTIGIANALITÀ, GIOVANI E FUTURO: INTERVISTA ALLO CHEF ANDREA BONATI

Andrea Bonati, bergamasco doc, la pasticceria ce l’ha nel sangue. Figlio d’arte, Andrea eredita l’attività di famiglia da suo padre Tiziano, portando avanti una tradizione antica con lo sguardo sempre rivolto al futuro.

È stata una scelta ovvia per te portare avanti il lavoro della tua famiglia?

Diciamo che inizialmente la mia strada non doveva essere quella. Da giovanissimo avevo la testa nel mondo dell’arte e del cinema, passione che infatti mi ha portato alla laurea in Lettere e Filosofia con indirizzo Arte e Cinema all’Università Cattolica di Brescia.
Ho sempre detto a mio padre che, pur con immensa ammirazione per il suo lavoro, non sarebbe mai stato quello che avrei fatto nella vita. E invece…
Alla sua morte, nel 2005, mi sono ritrovato assieme a mia sorella Chiara a prendere in mano l’attività di famiglia. Ho dovuto imparare tutto daccapo, ho frequentato corsi e passato ore e ore al tavolo di lavoro: la ripetizione crea l’abilità. Due anni dopo, nel 2007, eravamo pronti a ricominciare.La tradizione di famiglia quindi continua.

Continua e cresce, come ai tempi di mio padre.
Molti anni fa non era comune trovare negozi di pasticceria nei paesi più rurali, esistevano solo nelle grandi città. È stato negli anni ‘70, durante il boom economico, che mio padre ha deciso di osare e costruire un laboratorio con un piccolo negozio (l’attuale complesso che ospita la Pasticceria Bonati), che è arrivato in poco tempo a servire tutte le zone limitrofe, sfornando circa 20.000 croissant al giorno. Con il tempo (e una visione imprenditoriale) l’attività è cresciuta, fino ad arrivare all’apertura di una caffetteria e, da pochi anni, un laboratorio e negozio completamente gluten free.

Si parla molto in questo periodo del pericolo che tante eccellenze artigianali italiane possano svanire per mancanza di un ricambio generazionale. Come vedi i giovani d’oggi? Stanno effettivamente perdendo interesse o c’è aria di cambiamento?

Secondo me ci troviamo di fronte alla possibilità di un cambiamento, che non possiamo tradurre negli ultimi anni, ma potremo tradurlo in una lettura storica molto più ampia. Ci sono tantissimi ragazzi determinati e con passione là fuori, ne vedo ogni giorno, sta a noi incoraggiarli e spingerli a costruirsi una carriera nell’artigianalità. È necessario però superare una mentalità ormai antiquata che ancora permane nel mondo del lavoro.
Una volta si andava a lavorare prestissimo, si imparava sul campo, bisognava sottostare alle figure più anziane, in particolare a quello che io chiamo Capo “Zeus”, e solo l’età ti dava il rispetto e il diritto ad avanzare di posizione. Questo modello oggi non favorisce l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro artigianale: si sentono scoraggiati, non ascoltati e peggio ancora non invogliati a intraprendere una carriera in questi settori. C’è ancora difficoltà nel passaggio di testimone, come a dire “se io ho imparato sulla mia pelle, senza nessuno che mi aiutasse, anche tu devi fare lo stesso”. E questo non è l’unico problema.

Ossia?

I programmi televisivi hanno sdoganato, positivamente, è vero, il mondo della cucina e della pasticceria. Il problema è che spesso e volentieri passano solo elementi mainstream, il prodotto finito, senza dare percezione della fatica, del lavoro e dell’enorme impegno che c’è dietro. I tempi di oggi, così veloci, spesso non permettono ai ragazzi di capire cosa effettivamente ci sia dietro una carriera, quanto sacrificio comporti.
La comunicazione, la condivisione è certamente essenziale anche nel nostro lavoro, ma è necessario distinguere da quello che è puro intrattenimento dei social, della tv (con i suoi tempi veloci) e quello che invece è lo studio, la lunga preparazione e dedizione di un lavoro artigianale.

Che consiglio daresti ai giovani?

La formazione è fondamentale. E forse più ancora il confronto. Andate a vedere cosa c’è fuori dal vostro laboratorio, guardate, studiate, confrontatevi, condividete esperienze anche con chi pensate essere “lontano” da voi. Fate girare le idee. E ovviamente capite se siete mossi da una profonda passione. Non vedere la propria carriera come un semplice lavoro, ma come un piacere, è essenziale per far fronte alle infinite ore di dedizione che richiede.

Un altro grosso colpo alle realtà artigiane è arrivato, purtroppo, dalla pandemia. Come ha influito secondo te?

Certo è stato un grosso freno a mano per tutti, questo è innegabile. Ma credo che da tutte le cose si possa imparare qualcosa e trarre del buono. C’è sempre un’altra prospettiva da guardare: molte cose durante il lockdown o si sono rinsaldate o si sono spaccate. Ci ha permesso, e parlo anche in termini personali, di accorgerci di situazioni incancrenite, anestetizzate da risolvere, ha dato un grosso scossone per capire che è ora di rimboccarsi le maniche, correggere gli errori che procrastinavamo e ricominciare.
Ci ha anche dato la possibilità di guardare oltre il nostro giardinetto, di capire che, nelle possibilità di ognuno, solo aiutandoci a vicenda ne possiamo uscire.
Non credo si debba avere paura del futuro ma metterci invece un po’ di speranza.


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